Da quando è iniziata la mia vita di emigrante ho sempre pensato di crearmi una via di uscita.
Un piano B a cui fare ricorso in caso di problemi.
Ricordo che ne avevo uno anche durante i primi anni a Milano. Ero tutta sola in quella metropoli dove nessuno mi salutava, dove faceva un freddo tale da costringere me ragazza del sud a comprarmi il primo cappello e a mettere il doppio calzino quando al mattino mi svegliavo presto e attraversavo tutto Viale Zara sul tram numero 2 diretta a lezione. Mi ha sempre sorretto la sicurezza che alla peggio me ne sarei tornata a casa.
Certo mi spronavo dicendomi: “Se vuoi fare il magistrato questo è nulla, devi essere più coraggiosa”, ma mi crogiolavo anche pensando che avevo una famiglia che mi avrebbe accolto a braccia aperte.
Che ogni giorno mi diceva: “Torna” e io rispondevo: “No, va tutto benissimo”.
Usando il superlativo così caro a mio padre, “benissimo”, dietro al quale nascondevo paura e tristezza.
Come quel primo Maggio in cui tutti erano a una scampagnata e io tutta sola in un triste supermercato a comprarmi una busta di insalata.
Il piano B mi ha sempre dato coraggio.
Mi ha sempre dato la forza di provare fino in fondo quello che stavo facendo.
Anche mentre facevo la pratica legale, ed ero trattata peggio dell’ultimo garzone di una drogheria, pensavo: “Se scopro che non mi piace torno giù”.
Ma invece quando non sopportai più, mi misi a cercare un lavoro e approdai in un grande gruppo.
Ma pure lì, nei momenti di sconforto e se subivo una ingiustizia, pensavo: “Me ne torno a casa, mi metto a lavorare al negozio di mio padre. Io alla cassa come da ragazzina e a contatto con i clienti e fornitori, mia sorella da grande parrucchiera qual è a fare l’artista. Altro che Coppola!”.
Sognavo scenari. Immaginavo eventi. Ma intanto mi impegnavo fortemente a superare quell’ingiustizia.
Il piano B mi ha sempre dato speranza.
Quando mi trovavo da sola in quel bilocale di 40mq con lo stipendio agli sgoccioli, dato che dopo il pagamento dell’affitto, la spesa e la settimana di vacanza restava davvero poco altro, pensavo che ero fortunata ad avere un piano B.
Poi su un cocuzzolo della montagna incontrai mio marito.
E il piano B diventammo noi.
Stare insieme, ovunque.
Sorrido quando mi chiedono: “Come diavolo ci sei finita in Kuwait?”.
Io che al massimo mi auguravo che, nel peggiore dei casi, sarei finita in Puglia.
Sono finita qui nel deserto.
E al piano B, si sono aggiunti il C, il D e pure l’E.
Ho scoperto che pure mio marito ha sempre bisogno di un piano B.
Ma questa volta non solo come incoraggiamento a impegnarsi nell’attuale vita.
Ma come reale e concreta idea per “salvarsi” e per continuare a vivere.
Perché se accetti questa vita, facendoti assumere da un azienda locale in un paese a volte così soffocante, il piano B sarà la tua salvezza. E sicuramente prima o poi ne avrai bisogno.
Solo che noi non pensiamo mai di andarcene semplicemente su una spiaggia.
Ed io e mio marito abbiamo sempre esigenze diverse.
Lui vuole un paese con un sistema fiscale non opprimente e buone scuole per nostra figlia.
Un paese dove non ci serva un visto.
Perché il nostro piano B è soprattutto legato all’eventualità che ci caccino di qui perché rimasti senza lavoro.
Io vorrei un paese dove si parli la lingua inglese e possibilmente non faccia troppo freddo.
Non chiedo molto.
Anche le mie aspettative sulla vita sociale e culturale si sono abbassate.
Finché Giada è ancora piccola credo di poter stare bene un po’ ovunque.
Avevamo stilato una lista di paesi e città: Capetown, Malta, Sud Inghilterra, ma quest’ultima dopo la brexit è stata depennata.
Ho smesso pure di sognare l’America. Inizio ad avere un rapporto un po’ complicato con gli States. Soprattutto dopo la vittoria di Trump. Chissà.
L’Australia è troppo lontana e ha le stagioni invertite, senza contare gli enormi problemi di visto.
Il Canada è bellissimo ma come faccio io a meno 40 gradi??
L’africa, quella vera, così come l’India e la Cina non credo facciano per me.
L’impatto culturale sarebbe troppo forte.
Ho amici che mi parlano del Congo come del paradiso.
Ma io li guardo con occhi spalancati, meravigliati e pieni di dubbi.
L’Italia io non la considero, non ora.
Soprattutto da quando ho venduto casa a Milano. Da quando, a giugno, mi sono licenziata definitivamente.
Mi sento un po’ senza radici. E mi spaventerebbe stare lì senza un “lavoro ufficiale”.
Lo ammetto.
No, non vorrei tornare, non subito almeno.
Ultimamente siamo ancora più impegnati nella ricerca del piano B.
Per tutta una serie di vicende con cui non vi tedio.
Ma quel piano B ora tocca studiarlo bene bene.
E mi sono detta che può anche essere divertente.
Siamo fortunati perché abbiamo la possibilità di chiederci ancora una volta cosa vogliamo fare.
Per una volta non mi serve come speranza, come incoraggiamento a vivere meglio il presente.
Ora mi serve sul serio.
Quando la notte non dormo e ho per casa un marito con la bocca all’ingiù, non è che mi pare più così “figo” o così “stimolante” avere un piano B.
Dopo avere letto il post della nostra Cristina sul concetto della felicità in Buthan, mi sono detta se la nostra ricerca non stia seguendo criteri sbagliati.
Ma la verità è che non esiste una ricetta magica per tutti.
Il posto perfetto, così come la felicità, sono concetti astratti.
Condizionati da mille altre variabili.
Quindi eccomi alle prese con la mia bella lista da stilare con pro e contro.
Alla ricerca del piano B perfetto per noi tre.
Per quanto so già che nulla sarà perfetto.
E una volta che lo troveremo e magari attueremo, so già che penseremo a un altro piano B.
Giusto??
Non fa forse parte del pacchetto expat questo?
Programmi e incertezze.
E voi, avete il vostro piano B?
Avete suggerimenti?
Mimma, Kuwait
Il piano B è un tema molto importante, concordo. È normale pensarci per avere un’ ancora di salvezza nei momenti più difficili o incerti!
Anche noi non pensiamo di rimanere in Australia per sempre perché é troppo lontana ed isolata, di sicuro non a Perth dove l’isolamento si percepisce chiaramente nella mentalità degli abitanti.
Di sicuro le bimbe avranno un peso fondamentale nel decidere la nostra prossima destinazione e abbiamo già delle idee in mente. Quando arriverà il momento giusto, si vedrà!
In bocca al lupo per il vostro piano B e segui il tuo istinto 😉
Grazie carissima.
In bocca al lupo a voi!
Un abbraccio
Mimma
Anche io vivo sempre con il piano B, come dici tu dà sicurezza e permette di non restare impreparati alle emergenze. Soprattutto, pensarci a mente lucida quando non è ancora necessario aiuta a non fare cavolate in preda all’emozione!
Esattamente è un pò questo il nostro ragionamento. Vedremo…grazie
Più che stilare liste di dove si vorrebbe andare o non andare, che non credo il Kuwait fosse in cima ai tuoi desiderata prima di andarci, proverei a capire quali sono le priorità vostre personali e della vostra famiglia e inviando curriculum a 360° proverei a capire se le offerte in quel senso possano soddisfare o meno queste priorità se vi vedete come dipendenti, magari invece avete dei progetti da portare avanti in proprio e allora forse ci sono luoghi più o meno adatti come legislazione, fiscalità e richiesta di quel dato bene o servizio…il vostro piano B, C, D, E siete voi, lo hai detto tu…sono convinta che se il Kuwait è stata una esperienza così positiva per voi, qualunque posto potrebbe diventarlo!
Ma noi ragioniamo anche un po’ senza offerte. Ultimamente ci sentiamo dire “sei troppo senior”. E in generale penso pure che forse è bene farsi qualche domanda in più.
Forse non farsi scegliere più dal lavoro, ma partire dal posto e ricrearselo.
Mimma! Il Congo un paradiso proprio no, fidati. Guai a te se ti fai venire strane idee!!!
Ciao Mimma, io sto per metterlo in pratica il mio piano B e ho fatto, insieme a mio marito, quello che suggerisce Tiziana: abbiamo mandato curriculum e vagliato le possibilità che si sono aperte (con un po’ di pazienza). Non ti nascondo che ho una gran paura di quello che succederà ma qui in Honduras con un bimbo piccolo è diventato troppo difficile (se vuoi depennare un altro paese.. :).
Speriamo che quella “B” stia per BUONO! In bocca al lupo a noi!
in bocca al lupo ragazzi. Si è questa la strada ma essendo noi più vecchiotti penso che forse dobbiamo pure decidere che vogliamo farne della nostra vita. Un saluto e grazie mille.
Gentile signora, mi permetto solo un suggerimento. La ragionevole certezza di non essere mandati via da un qualunque paese si ha solo diventando suoi cittadini. Quindi, un piano B dovrebbe anche tener conto della possibilita’ di conseguire una doppia cittadinanza. In B- occa al lupo!
Ha ragione. Ma per quello mica facile. Grazie comunque.
Credo che un piano B serva a rassicurare tutti, expat o no, come hai ben scritto tu. Io ci penso continuamente e per ora penso al trasferimento dove lavora mio marito ed alla ricerca di un lavoro dipendente nei paraggi. Però è un piano vago, da perfezionare. Per lui, al contrario, è il rientro a casa! Fate bene a pensarci e progettare! Spero che non ne avrete bisogno ma, se fosse, spero si riveli perfetto per voi!
Stavo giusto riflettendo sul mio piano B quando ho trovato il tuo articolo. Forse è vero che una volta fatto il primo passo sia impossibile fermarsi. Credo che sì, un nuovo progetto serve da stimolo ma allo stesso tempo ci mette sempre in una condizione di non completa soddisfazione, un leggero malessere che non vuole andare via.
Mai….fare lo sbaglio di nn avere un piano B, quello ci vuole a prescindere, un’alternativa, una via di fuga imminente.
Ho 60 anni ed ho seguito mio marito senza fiatare, la mia prima esperienza expat senza lingua inglese…..incosciente, penserai…in effetti ….SI.
I miei figli oramai adulti.
La mia attivita’ oramai terminata.
Mi hanno permesso di fare questo salto nel vuoto. Proprio oggi sono 4 mesi dal nostro arrivo e nn mi sono affatto pentita.
Esperienza positiva che mi permette di fare cose nuove e belle. Poi quello che piu’ conta, proseguire il nostro cammino di vita insieme.
Nn dimenticando MAI i nostri affetti piu’ cari.
Il nostro piano ” B” sempre in tasca.
Un augurio MIMMA, di tante BUONE & BELLE COSE .